Notizie importanti sono emerse da un lavoro pubblicato recentemente (Castellano et al. 2017) sulle tecniche apistiche impiegate durante l’Età del Ferro nell’Italia settentrionale. Uno scavo eseguito nel sito archeologico di Forcello, non lontano da Mantova, ha fornito dati essenziali per determinare la flora visitata dalle api di allora e per ipotizzare che 500 anni AC venisse effettuata un’apicoltura itinerante in Italia.
Plinio il Vecchio (23 – 79 DC) ne aveva parlato (Naturalis Historia, XXI.43.73) raccontando come, ai suoi tempi, l’apicoltura itinerante era una pratica frequente nell’odierna Ostiglia (MN), località vicinissima agli scavi condotti. Gli studi effettuati confermerebbero quindi la testimonianza di Plinio, riportandola indietro di ulteriori 500 anni. Studi precedenti, condotti in Egitto, avevano scoperto che la pratica del “nomadismo” degli apiari era praticata nel III secolo a.C. per sfuggire alle devastanti alluvioni del Nilo, ai furti (come in questi ultimi anni in Italia) e per ricercare zone fiorite, idonee alla produzione del miele, importantissima fonte nutritiva e presidio nella medicina egiziana (come nelle imbalsamazioni).
E’ stata l’analisi del polline a suggerire per Forcello una gestione in parte itinerante degli alveari, rappresentate da “trasferimenti fluviali” in imbarcazioni per mettere a disposizione degli alveari la ricca flora mellifera presente sulla riva dei corsi d’acqua e laghi. D’altronde anche nei nostri tempi si continua a collocare le arnie nelle vicinanze di fioriture abbondanti compiendo un fondamentale servizio ecosistemico che favorisce la fecondazione incrociata delle specie vegetali.
Sempre il polline ritrovato parla dell’esistenza di un miele ottenuto da Vitis vinifera e l’impiego, da parte delle api, di nettare da forme selvatiche di questa specie ma, quasi certamente, anche da forme di vite da ritenere nelle prime fasi di addomesticazione. E se queste scoperte destano meraviglia non va dimenticato che oggi la determinazione della presenza (o assenza) di grani di polline di determinate specie nel miele sono fondamentali per capire la loro provenienza e, nel caso, per evidenziare eventuali frodi.
La ricerca del gruppo guidato da Castellano, dell’università di New York, insieme a ricercatori italiani, ha evidenziato con questa interessante scoperta archeologica, che nel V secolo produttori di miele, forse etruschi, raccoglievano un tipo di miele fino a poco tempo fa sconosciuto, e, se vogliamo dirla tutta, raro anche ai nostri giorni.
Questa è la dimostrazione che in Italia, all’età del Ferro, la richiesta di miele doveva essere sostenuta grazie anche alle sue doti di ottimo conservante e meraviglioso rimedio nella cicatrizzazione delle ferite. Senza dimenticare il consumo del mulsum, il vino addolcito con il miele, o il pevakh, una bevanda simile alla birra o idromele, con miele fermentato, molto in auge tra gli Etruschi e Romani, splendido connubio tra miele, vite e storia d’Italia.
Per ulteriori informazioni
CASTELLANO L., RAVAZZI C., FURLANETTO G., PINI R., SALIU F., LASAGNI M., ORLANDI M., PEREGO R., DEGANO I., VALOTI F., DE MARINIS R.C., CASINI S., QUIRINO T., RAPI M.(2017). Charred honeycombs discovered in Iron Age Northern Italy. A new light on boat beekeping and bee pollination in pre-modern world. Journal of archaeological science: 26-40
PIOTTO B. (2018). La miglior apicoltura? Itinerante come 2.500 anni fa. Nuove Direzioni 45: 26-28 http://www.nuovedirezioni.it/dett_numero_2.asp?id=45
Scavi di Forcello (MN), dove sono emerse attività legate all’apicoltura praticata 2.500 anni fa (Foto T. Quirino – © Università di Milano).
A) Polline di Daphne Sericea
B) Polline di Petunia Hybrida
Foto: Per gentile concessione di Massimo Nepi
a cura di: Beti Piotto ISPRA – Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale Piero Milella biologo, naturopata, consulente nutrizionale e di apiterapia
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