Sembra un controsenso ma alcuni studi dimostrano che il veleno d’ape può essere una valida terapia contro dolori, infiammazioni e patologie degenerative.
Citando la frase di Paracelso «OMNIA VENENUM SUNT, NEC SINE VENENO QUICQUAM EXISTIT, DOSIS SOLA FACIT, UT VENENUM NON FIT» (Tutto è veleno e nulla esiste senza veleno, solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto) possiamo dire che il veleno d’ape si rispecchia completamente con questa antica affermazione: un uso sapiente, con protocolli precisi che mettano al sicuro il paziente, può fare del veleno un’interessante arma che va a incrementare il bagaglio terapeutico contro il dolore e l’infiammazione.
Il veleno d’ape è prodotto nella «ghiandola acida» e si accumula in un serbatoio da dove poi passa nel «canale del veleno» alla base del pungiglione. Questo è composto da uno «stiletto» che termina affilato con uncini rivolti all’indietro e da due «lancette» ventrali con dei solchi dai quali fuoriesce il veleno. La quantità di veleno iniettata per ogni puntura può variare fra gli 0,5 e i 2 microlitri.
I principali componenti del veleno sono delle ammine biogene presenti in grande quantità, dei peptidi e degli enzimi. Il componente caratterizzante del veleno è la MELITTINA, polipeptide formato da 26 aminoacidi senza zolfo che rappresenta il 40-60% della composizione del veleno.
Le sue azioni principali sono:
- Antibatterica e antifungina
- Azione «carrier» per trasferire farmaci oltre la barriera ematoencefalica
- Inibitore SNC – blocca sinapsi a livello muscolare e gangliare provocando contrazione della muscolatura
- Provoca liberazione di istamina
- Induce rottura dei mastociti
- Azione antinfiammatoria
- Proprietà radioprotettive (soprattutto verso i raggi X)
- Aumenta la permeabilità vascolare
- Causa emolisi
- Non ha proprietà antigeniche, altrimenti i nemici delle api otterrebbero un’immunità specifica
Inoltre, fra tutte le componenti del veleno, quella maggiormente responsabile dell’azione antinfiammatoria e analgesica risulta essere l’Adolapina.
In particolare possiamo così riassumere le proprietà del veleno d’ape:
- ANTINFIAMMATORIA
- ANALGESICA (blocco stimolo doloroso)
- VASOMOTORIA
- IMMUNOATTIVANTE
- IPOTENSIVA
- INCREMENTA L’AZIONE FIBRINOLITICA DEL SANGUE
- AIUTA NEI PROCESSI DEGENERATIVI DELL’APP. OSTEOARTICOLARE
- SUPERA LA BARRIERA EMATOENCEFALICA
- AGISCE COME NEUROTRASMETTITORE
- PUO’ ESSERE UTILIZZATO COME CARRIER DI SOSTANZE UTILI NELLA TERAPIA DI PROCESSI DEGENERATIVI CEREBRALI
Queste le patologie nelle quali può essere impiegato con successo:
- PATOLOGIE REUMATICHE
- ARTROSI
- ARTRITE REUMATOIDE
- GOTTA
- FIBROMIALGIA
- LOMBALGIA
- SCIATALGIA
- TENDINITI
- NEUROPATIE PERIFERICHE
- SCLEROSI MULTIPLA
- CHELOIDI
A parte le persone che risultano allergiche al veleno (obbligatorio il test prima della terapia), il veleno d’ape ha le seguenti controindicazioni:
- NO con Anticoagulanti
- NO con Antiaritmici
- No in bambini sotto i 12 anni
- NO in gravidanza
- NO in asmatici
- NO in portatori di pace maker
- NO in pazienti psichiatrici
La raccomandazione è quella di eseguire le punture seguendo un attento protocollo e sempre con la collaborazione e la supervisione di un medico per scongiurare reazioni allergiche o comunque reazioni avverse che possono verificarsi anche in persone che risultano negative al test.
Il veleno applicato con l’ape in vivo, con l’uso di una retina per impedire la morte dell’ape, risulta essere più efficace rispetto al veleno essiccato che in Italia risulta ancora molto difficile da reperire, infatti per il momento le informazioni maggiori le abbiamo dall’uso del veleno “in vivo”.
Di seguito cito uno studio (Am J Chin Med. 2002;30(1):73-80. – The effect of whole bee venom on arthritis. – Kang SS1, Pak SC, Choi SH.) che è stato condotto per valutare l’effetto terapeutico del veleno d’ape “intero” su ratti con dolore artritico indotto. Novanta ratti maschi Sprague-Dawley sono stati trattati con una singola iniezione sottocutanea di 1 mg di Mycobacterium butyricum sospeso in 0,1 ml di olio di paraffina nella zampa posteriore destra. Al quattordicesimo giorno, sviluppatesi l’artrite, i ratti sono stati divisi in tre gruppi e sono stati somministrati ad un gruppo “prednisolone” (10 mg/kg, per via orale), ad un altro gruppo veleno d’api (una puntura sottocutanea), a giorni alterni per 14 giorni. Al gruppo di controllo è stata iniettata 0,1 ml di soluzione fisiologica salina per via sottocutanea. Durante la somministrazione del farmaco sono stati osservati valori clinici ed ematologici su reperti istopatologici.
Nei due gruppi trattati, uno con prednisolone ed uno con veleno d’ape, è scomparso lo sviluppo di edema infiammatorio e poliartrite e non è stata notata nessuna differenza significativa sul volume dell’edema nella zampa posteriore e sul punteggio di “zoppaggine”.
Anche erosioni della cartilagine articolare e infiltrazioni di cellule infiammatorie nell’articolazione interfalangea sono stati efficacemente soppressi nei gruppi trattati.
Le conclusioni dello studio indicano che il veleno d’ape “intero” si è rivelato efficace nella soppressione dell’infiammazione artritica nel ratto e potrebbe essere un trattamento alternativo dell’artrite negli esseri umani.
Questo è uno degli studi che ci danno elementi per proseguire nella ricerca e cercare di arrivare ad una sperimentazione clinica nell’uomo per poter diffondere sempre più questa terapia che ha grandissime potenzialità.
a cura del dr. Aristide Colonna, medico-chirurgo, presidente Associazione Italiana Apiterapia
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