Tra le varie difficoltà che l’apicoltore si trova a dover affrontare nella sua attività la VARROA, come ben sappiamo, rappresenta l’oggetto di maggior preoccupazione.
La varroatosi (causata dall’acaro Varroa destructor) infatti è la malattia che in assoluto arreca le maggiori perdite economiche al settore apistico. Tale patologia impone agli apicoltori di procedere con periodici trattamenti farmacologici affinché le colonie di api possano sopravvivere. Nella lotta alla varroa esistono attualmente pochi strumenti a disposizione dell’apicoltore che, in ogni caso, non gli consentiranno di eliminare del tutto il parassita (almeno nei prossimi anni) dagli alveari ma impongono un costante monitoraggio sul livello di varroa presente nelle famiglie, considerato che l’efficacia dei trattamenti antivarroa è variabile. Infatti, le temperature ambientali (e, quindi l’andamento stagionale, l’altitudine), la presenza di covata e la resistenza ai diversi principi attivi delle popolazioni di varroa presenti in apiario, modulano l’esito del trattamento.
Esiste però un altro genere di acaro che sta diffondendosi in Europa e, come la Varroa, vettore di agenti patogeni: si parla della zecca (talvolta pidocchi) che inocula il batterio (una spirocheta Gram negativa) che determina la malattia di Lyme, pericolosa anche per l’uomo, e di cui è molto importante essere consapevoli. Di fatto le zecche sono molto diffuse nelle nostre campagne e boschi, comportando per i lavoratori in agricoltura (e gli apicoltori tra di essi) un rischio ben noto.
Le previsioni rispetto alla diffusione della malattia di Lyme sono abbastanza preoccupanti. Uno studio del febbraio del 2018 prevede che saranno infettate dal Lyme 1 milione di persone negli Stati Uniti e 2,4 milioni in Europa nel corso di quest’anno mentre entro il 2050, le previsioni sono: negli USA 55,7 milioni di persone (il 12% della popolazione) e in Europa 134,9 milioni di persone (il 17% della popolazione) che avranno contratto tale infezione. La maggior parte di queste infezioni diventerà, purtroppo, cronica con un costo stimato, per il 2018, che per gli USA è compreso tra 4,8 miliardi di dollari e 9,6 miliardi di dollari e per l’Europa, tra 10,1 miliardi di euro e 20,1 miliardi di euro.
Se i governi vorranno minimizzare i costi, dovranno pagare un trattamento antibiotico anche se, ad oggi, il tasso di cura stimato è inferiore al 25%.
La Borrelia burgdorferi, che indicheremo con B. burgdorferi, è l’agente eziologico della malattia di Lyme, patologia molto difficile da curare.
Infatti, mentre in vitro è suscettibile ad un buon numero di antibiotici, vi sono rapporti molto contraddittori sulla efficacia degli antibiotici in vivo, potendo persistere negli umani e negli animali per mesi o anni a dispetto di una robusta risposta immunitaria e di un trattamento antibiotico standard (un solo antibiotico).
Numerosi studi hanno dimostrato la persistenza dell’infezione anche dopo intense, prolungate e potenti terapie antibiotiche. Sono state ipotizzate vari tipi di strategie di sopravvivenza della B. burgdorferi per potere spiegare questa tenace resistenza:
- Sequestro fisico della B. burgdorferi in luoghi dell’organismo che sono inaccessibili al sistema immunitario ed agli antibiotici, come ad esempio il cervello ed il sistema nervoso centrale. Nuovi dati suggeriscono che la burgdorferi può utilizzare il sistema fibrinolitico dell’ospite per penetrare la barriera ematoencefalica.
- Invasione intracellulare: si è dimostrato che grazie alla sua motilità spontanea ed alla sua forma a “cavatappi” la burgdorferi riesce a penetrare all’interno di molte cellule, tra queste le cellule endoteliali, i fibroblasti, i linfociti, i macrofagi (che probabilmente la catturano), i cheratinociti, la sinovia e più recentemente sono state dimostrate all’interno dei neuroni e della glia. Giacché si ‘nasconde’ dentro queste cellule, la B. burgdorferi si rende capace di evadere il sistema immunitario e rimanere protetta, fino ad un certo punto, dagli antibiotici, e in questo modo permette all’infezione di persistere in uno stato cronico.
La malattia di Lyme colpisce prevalentemente la pelle, le articolazioni, il sistema nervoso e gli organi interni. I germi della B. burgdorferi sono trasmessi all’uomo attraverso la puntura di zecche dure del genere Ixodes e forse anche dalle Amblyomma e Dermacentor (le zecche del cane). I principali serbatoi dell’infezione sono rappresentati da animali selvatici (roditori, caprioli, cervi, volpi, lepri).
La malattia inizia tipicamente in estate e all’inizio si manifesta con una macchia rossa che si espande lentamente. Entro qualche settimana (in qualche caso mesi), si possono sviluppare disturbi neurologici precoci caratterizzati da artralgie migranti, mialgie, meningiti, polineuriti, linfocitoma cutaneo, miocardite e disturbi della conduzione atrio-ventricolare. I sintomi sono fluttuanti e possono durare per mesi fino alla cronicizzazione.
L’ultima fase della malattia, a distanza di mesi o anche anni dall’infezione, è caratterizzata da alterazioni a carico dell’apparato muscolo-scheletrico (artrite cronica), del sistema nervoso centrale e periferico (meningite, encefalomielite, atassia cerebellare, polineuropatie sensitivo–motorie, disturbi del sonno e comportamentali), della cute (acrodermatite cronica atrofica) e dell’apparato cardiovascolare (miopericardite, cardiomegalia). Purtroppo gli esami di laboratorio non sono sempre in grado di confermare o escludere in modo definitivo la malattia che sembra non sviluppare immunità, per cui l’infezione può essere contratta più volte nel corso della vita.
La ricerca ha ancora molto da scoprire.
Ad oggi, esistono sette trial che hanno studiato l’efficacia dei trattamenti antibiotici per la malattia Lyme. Tutti, tranne uno, hanno confrontato diversi antibiotici. Il gruppo sottoposto al trial comprendeva 450 europei con assegnazione del trattamento casuale; gli antibiotici testati comprendevano penicillina G, doxiciclina, ceftriaxone e cefotaxime; uno degli studi riguardava solo bambini, mentre gli altri includevano soprattutto adulti. La maggior parte degli studi non è stata cieca (cioè: i partecipanti e il personale dello studio sapevano che il trattamento era dato) e nessuno studio ha valutato gli effetti del ritardo nell’inizio del trattamento.
I sette studi erano troppo diversi per riuscire a combinare tra loro i risultati, quindi sono stati analizzati individualmente e nessuno di loro ha fornito prove evidenti sul migliore antibiotico tra quelli sperimentati.
In generale, il trattamento è stato ben tollerato, e la qualità degli eventi avversi riportati nella maggior parte degli studi sembra essere bassa.
Un ulteriore studio, molto interessante, condotto presso il Dipartimento di Biologia e Scienze Ambientali, Università di New Haven (West Haven, USA) si è concentrato sull’attività antimicrobica del veleno d’ape, e in particolare della melittina (principale componente del veleno d’ape, rappresenta il 52% dei peptidi presenti nel veleno[1] ed è composto da 26 amminoacidi) contro la B. burgdorferi.
A dispetto degli antibiotici utilizzati come trattamento primario, la recidiva si verifica spesso dopo la sospensione degli agenti antimicrobici. La ragione della recidiva rimane sconosciuta, tuttavia studi precedenti suggeriscono la possibile presenza di corpi rotondi di Borrelia resistenti agli antibiotici e biofilm anch’essi resistenti.
Pertanto, vi è un urgente bisogno di trovare agenti antimicrobici adatti ad eliminare tutte le forme conosciute di B. burgdorferi. In questo studio, agenti antimicrobici naturali come il veleno di Apis mellifera e una sua molecola ben nota, la melittina, sono stati testati[2]. I risultati ottenuti sono stati confrontati con combinazioni di antibiotici (come doxiciclina, cefoperazone, daptomicina) che sono stati recentemente trovati efficaci contro ceppi resistenti di Borrelia. I risultati hanno mostrato che sia il veleno d’api quanto la melittina hanno avuto effetti significativi su tutte le forme testate di B. burgdorferi. Al contrario, gli antibiotici di controllo utilizzati singolarmente o in combinazione hanno avuto effetti limitati sul biofilm. Questi risultati suggeriscono fortemente che l’intero veleno d’api o la melittina potrebbero essere agenti antimicrobici efficaci contro la B. burgdorferi.
Un altro studio molto interessante, condotto dal Settore di microscopia dei laboratori di Rocky Mountain, Istituto nazionale di allergie e malattie infettive, National Institutes of Health, Hamilton, Montana, USA, ha dimostrato la capacità di resistere della B. burgdorferi agli effetti in vitro di potenti inibitori metabolici eucarioti e procarioti. Tuttavia, il trattamento di colture di laboratorio in vitro con melittina ha mostrato effetti inibitori immediati e profondi quando sono stati monitorati mediante microscopia in campo oscuro, ed elettronica a scansione di campo e misure di densità ottica. Inoltre, a concentrazioni di melittina a partire da 100 mcg/ml, praticamente tutta la motilità della spirocheta è cessata in pochi secondi dall’aggiunta di un inibitore. L’esame ultrastrutturale di queste spirochete mediante microscopia elettronica a scansione ha rivelato evidenti alterazioni dell’involucro superficiale delle spirochete. La straordinaria sensibilità di B. burgdorferi alla melittina può essere utile nello studio della permeabilità selettiva nei microrganismi, fornendo importanti indizi per lo sviluppo di nuovi farmaci efficaci contro la malattia di Lyme.
Ancora una volta i doni delle nostre amiche api si possono rivelare molto importanti per la nostra salute!
a cura di dr.ssa Deborah Vannicola, naturopata, consulente di apiterapia
Bibliografia
- Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Lazio e Toscana, http://www.izslt.it/apicoltura/varroatosi/
- Study: “To assess the effects of antibiotics for the treatment of LNB “, Cochrane Library, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29438352
- Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Borrelia
- Istituto Superiore di Sanità, http://www.epicentro.iss.it/problemi/zecche/borreliosi.asp
- “Clinical toxicology of animal venoms and poisons”, Meier J, White J., CRC Press, Inc, 1995
- “Antimicrobial Activity of Bee Venom and Melittin against Borrelia burgdorferi”, PubMed, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/29186026
- “The antimicrobial agent melittin exhibits powerful in vitro inhibitory effects on the Lyme disease spirochete”. PubMed, https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/9233664
[1] Meier J, White J., Clinical toxicology of animal venoms and poisons, CRC Press, Inc, 1995,
[2] Test effettuati usando SYBR Green I/PI[2], conteggio diretto delle cellule, test di biofilm combinati con i metodi di microscopia
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